STUDIO LEGALE

Avv. STEFANO COMELLINI

BOLOGNA

 

 

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Accesso (non autorizzato) di terzi all’Home Banking:

sull’Onere della Prova

 

 

Con la sentenza n. 10638/2016 la Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata su un caso di bonifico “online”, eseguito da un istituto di credito (nello specifico, le Poste Italiane) con prelievo della somma dal c/c del cliente. La cliente, però, affermava che il bonifico non era stato disposto da lei.  Agiva, quindi, nei confronti delle Poste, avanti il Tribunale di Milano, chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti ad un illecito trattamento dei suoi dati personali.

 

Il Tribunale, però, respingeva la domanda della correntista “ritenendo non adeguatamente provati i fatti …”.  Infatti, la CTU aveva consentito di appurare, ad avviso del Tribunale, che il sistema implementato da Poste Italiane non consentiva in sé, ai terzi, di venire a conoscenza dei dati necessari per compiere operazioni di “home banking” all’insaputa del titolare del conto. Quindi, non era possibile che l’operazione fosse avvenuta senza che la correntista avesse comunicato a terzi i propri codici identificativi (nome utente, password e codice identificativo). Non solo: la stessa correntista non aveva provato di avere subito, attraverso la rete internet, il furto dei dati personali.

 

In altre parole, la correntista non aveva adempiuto all’onere di provare il nesso di causalità tra il danno subito e l’attività della Banca relativa al trattamento dei dati personali.

 

La Cassazione, tuttavia, con la sentenza n. 10638/16, accogliendo la impugnazione della correntista, ritenendo che il Tribunale avesse fatto malgoverno delle regole che presidiano il criterio dell’onere della prova, laddove l’operazione sul conto venga disconosciuta dal cliente, giunge a conclusioni opposte.

 

Infatti, per la Suprema Corte “… ove si discuta di responsabilità per l’abusiva utilizzazione di credenziali informatiche del correntista nell’ambito di un servizio equiparabile a quello di home banking, non spetta al correntista provare di non aver autorizzato l’esecuzione dell’operazioneo, specificamente, di avere subito il furto dei dati identificativi personali.”

La ripartizione dell’onere della prova, in casi simili, …. “ postula “l’adozione di un criterio di responsabilità efficacemente definito, in dottrina, come di tipo “semioggettivo”, atteso il rinvio all’art. 2050 cod. civ. contenuto nell’art. 15 del codice della privacy, e atteso che il modello di responsabilità è coerente con quello delineato finanche a livello comunitario dall’art. 23 e dal considerando n. 55 della direttiva comunitaria n. 95/46-CE, relativamente alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali”.

 

Il correntista “è onerato soltanto della prova del danno siccome riferibile al trattamento del suo dato personalementre l’Istituto di credito è “onerato della prova liberatoria consistente nell’aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno…”.

 

“… Tra codeste misure rilevano … quelle previste dal titolo V del codice della privacy (artt. 31 – 36), stante la regola generale secondo la quale, in sede di trattamento dei dati personali, è richiesto sempre il rispetto di un onere di diligenza da valutare concretamente, sia “in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico, sia in relazione alla natura dei dati e alle specifiche caratteristiche del trattamento …”.

 

Tale onere di traduce nell’adozione di misure preventive di sicurezza volte a ridurre al minimo i rischi di eventi dannosi, ivi compresi quelli correlati all’accesso non autorizzato ai dati personali”.

 

“Consegue che, in base al rinvio all’art. 2050 cod. civ., operato dall’art. 15 del codice della privacy, l’istituto che svolga un’attività di tipo finanziario o in generale creditiziorisponde, quale titolare del trattamento di dati personali, dei danni conseguenti al fatto di non aver impedito a terzi di introdursi illecitamente nel sistema telematico del cliente mediante la captazione dei sui codici di accesso e le conseguenti illegittime disposizioni di bonifico, se non prova che l’evento dannoso non gli è imputabile perché discendente da trascuratezza, errore (o frode) dell’interessato o da forza maggiore”.

 

In altri termini, la Banca risponde dei danni se non prova di avere impedito a terzi l’accesso ai codici personali del proprio cliente.

 

Inoltre il D. Lgs. n. 11 del 2010 obbliga i prestatori del servizio di pagamento ad assicurare che i dispositivi personalizzati forniti dai gestori non siano accessibili a soggetti diversi dal legittimo titolare.

 

“Anche in tal caso, in punto di ripartizione delle responsabilità derivanti dall’utilizzazione del servizio, il citato d.lgs, artt. 10 e 11, prevede che, qualora l’utente neghi di avere autorizzato un’operazione di pagamento già effettuata, l’onere di provare la genuinità della transazione ricade essenzialmente sul prestatore del servizio. E nel contempo obbliga quest’ultimo a rifondere con sostanziale immediatezza il correntista in caso di operazione disconosciuta, tranne ove vi sia un motivato sospetto di frode, e salva naturalmente la possibilità per il prestatore di servizi di pagamento di dimostrare anche in un momento successivo che l’operazione era stata autorizzata, con consequenziale diritto di richiedere e ottenere, in tal caso, dall’utilizzatore, la restituzione dell’importo …”.

 

(Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 13 aprile 2016 - 23 maggio 2016, n. 10638

 

 

 (15 luglio 2016)

 

 

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