STUDIO LEGALE Avv.
STEFANO COMELLINI BOLOGNA |
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Quando
la Concorrenza Sleale può
definirsi “parassitaria” |
L’art. 2598
del codice civile così testualmente recita: “Ferme le disposizioni che
concernono la tutela dei segni distintivi e dei diritti di brevetto, compie
atti di concorrenza sleale chiunque: 1) usa
nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni
distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di
un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare
confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente; 2)
diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente,
idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o
dell'impresa di un concorrente; 3) si vale direttamente o indirettamente
di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale
e idoneo a danneggiare l'altrui azienda.” La Corte di
Cassazione, con la recente sentenza n. 22118/15, è tornata sul tema della
concorrenza sleale, affrontando un caso di quella cosiddetta
“parassitaria”, cioè consistente nella sistematica imitazione delle
iniziative imprenditoriali del concorrente e rientrante tra gli atti
“residuali”, rispetto a quelli contemplati dai n. 1 e 2 dell’art. 2598 codice
civile, ricompresi dal n. 3 del predetto articolo. Rammenta la
Suprema Corte che “La concorrenza sleale parassitaria consiste in un continuo e sistematico operare, da parte di un imprenditore, sulle orme dell’imprenditore
concorrente, attraverso l’imitazione di rilevanti iniziative imprenditoriali
di quest’ultimo,
e quindi
non solo dei prodotti tutelati, compiute in tempi più o meno ravvicinati”. La Corte,
poi, pronuncia il principio di diritto, a cui dovrà attenersi il giudice di
merito (nello specifico caso, il “giudice del rinvio”) secondo cui “… la concorrenza sleale parassitaria,
ricompresa fra le ipotesi previste dall’art. 2598, n. 3, c.c., che riguarda
comportamenti idonei a danneggiare l’altrui azienda con ogni <altro>
mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale, si riferisce a mezzi diversi e distinti
da quelli relativi ai casi tipici di cui ai precedenti nn.
1 e 2, onde ove
si sia correttamente escluso nell’elemento dell’imitazione servile dei
prodotti altrui il centro dell’attività imitativa (requisito pertinente solo
alla fattispecie di concorrenza sleale prevista n. 1 dello stesso art. 2598) devesi indicare quali siano state le attività
del concorrente sistematicamente e durevolmente plagiate, con l’adozione e lo
sfruttamento, più o meno integrale ed immediato, di ogni sua iniziativa,
studio o ricerca, contraria alle regole della correttezza professionale”. (Corte di
Cassazione, prima sezione civile, sentenza 7 ottobre 2015 – 29 ottobre 2015,
n. 22118) (7 gennaio 2016) |
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