STUDIO LEGALE

Avv. STEFANO COMELLINI

BOLOGNA

 

 

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Il tuo Dipendente guarda Siti Porno invece di lavorare?

Ecco quello che "non" devi fare

 

 

Con la sentenza n. 18443/2013 la Corte di Cassazione si è occupata del caso di un dipendente di una Casa di Cura, presso cui prestava servizio come addetto all’accettazione ed al banco referti, che aveva ricevuto una contestazione disciplinare per suoi accessi “non autorizzati” ad internet, sul luogo di lavoro e con il computer dell’ufficio.

 

Costui, tuttavia, si rivolgeva al Garante della Privacy chiedendo il blocco e la cancellazione dei dati personali relativi a tali accessi (ai sensi dell’art. 7 del Codice della Privacy); ed infatti il Garante interveniva vietando alla Casa di Cura il trattamento dei dati, in quanto “dati sensibili”, poichè relativi a convinzioni religiose e politiche nonché a tendenze sessuali.

 

La Casa di Cura impugnava il provvedimento del Garante, ma il Tribunale (di Palermo) lo respingeva. Da qui il suo ricorso in Cassazione.

 

La sentenza della Suprema Corte, nel ripercorrere la vicenda, ricorda come la Casa di Cura aveva documentato gli accessi ad internet del dipendente producendo numerose pagine, allegate alla contestazione disciplinare, recanti, in particolare, informazioni relative ai “file” temporanei e ai “cookie” originati, sul computer utilizzato dal ricorrente, dalla navigazione in rete avvenuta durante le sessioni di lavoro .

 

Inoltre, la sentenza rammenta che il dipendente aveva sostenuto:

·         che tra i dati comparivano anche … gusti e tendenze sessuali, posto che numerosi file facevano riferimento a siti a “contenuto pornografico”;

·         che la Casa di Cura aveva trattato i dati senza consenso e senza informare preventivamente, sulla possibilità di effettuare controlli sui terminali dell’ufficio, né l’interessato né il sindacato, in spregio dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.

 

Il Garante della Privacy, nel proprio provvedimento, aveva precisato come la Casa di Cura avrebbe potuto dimostrare l’illiceità del comportamento del dipendente, in rapporto al corretto uso degli strumenti affidati sul luogo di lavoro, limitandosi a provare in altro modo l’esistenza degli accessi indebiti alla rete ed i relativi tempi di collegamento senza operare un trattamento dei “contenuti” degli accessi ai singoli siti, operando un trattamento di dati pertanto eccedente rispetto alle finalità perseguite.

 

Infatti, continuava il Garante, <sebbene i dati personali siano stati raccolti nell’ambito di controlli informatici volti a verificare l’esistenza di un comportamento illecito … le informazioni di natura sensibile possono essere trattate dal datore di lavoro senza il consenso quando il trattamento necessario per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria sia “indispensabile” (art. 26, comma 4, lett. c), del Codice; autorizzazione n. 1/2004 del Garante)>.  Tale indispensabilità, per il Garante, non ricorreva però nel caso di specie.

 

Inoltre, riguardando anche dati <idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale>, il trattamento era lecito solo per far valere o difendere in giudizio un diritto di rango pari a quello dell’interessato ovvero consistente in un diritto della personalità o altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile. Anche tale circostanza, per il Garante, non ricorreva nel caso di specie, essendo stati fatti valere solo diritti legati allo svolgimento del rapporto di lavoro (cfr. art. 26, comma 4, lett. c), del Codice; punto 3, lett. d) , della citata autorizzazione; cfr. Provv. Garante 9 luglio 2003).

 

Il Tribunale di Palermo, nel rigettare il ricorso della Casa di Cura, condivideva le argomentazioni del Garante.

 

Idem per la Cassazione che, respingendo, a sua volta, il ricorso della Casa di Cura ha ribadito come:

·         siano <dati personali> (e quindi “sensibili”) < idonei a rilevare la vita sessuale – “da intendersi come complesso delle modalità di soddisfacimento degli aspetti sessuali di una persona” (Sez. 5 penale, Sentenza n. 46454 del 2008) - quelli relativi alla “navigazione” in internet con accesso a siti pornografici>;

·         <il trattamento dei dati sensibili era avvenuto in modo eccedente rispetto alla finalità del medesimo>.

In particolare … il Tribunale di Palermo aveva <condiviso le argomentazioni del Garante secondo cui la ricorrente avrebbe potuto dimostrare l’illiceità del comportamento del dipendente, in rapporto al corretto uso degli strumenti affidati sul luogo di lavoro, limitandosi a provare in altro modo l’esistenza di accessi indebiti alla rete e i relativi tempi di collegamento>.  

Essa, invece, aveva <operato un trattamento diffuso di numerose altre informazioni indicative anche degli specifici “contenuti” degli accessi dei singoli siti web visitati nel corso delle varie navigazioni, operando - in modo peraltro non trasparente - un trattamento di dati eccedente rispetto alle finalità perseguite, tenuto conto che, sebbene i dati personali siano stati raccolti nell’ambito di controlli informatici volti a verificare l’esistenza di un comportamento illecito, le informazioni di natura sensibile possono essere trattate dal datore di lavoro senza il consenso quando il trattamento necessario per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria sia “indispensabile”> e tale indispensabilità, non ricorrevava nel caso di specie.

 

(Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza 19 giugno 2013 – 1 agosto 2013, n. 18443)

 

 

(25 gennaio 2016)

 

 

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