STUDIO LEGALE

Avv. STEFANO COMELLINI

BOLOGNA

 

 

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Rapporto di "Consulenza Informatica":

per Recedere quale Preavviso occorre?

 

 

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 9220/14 si è espressa sul tema della risarcibilità del danno patito dal cliente in seguito al (pur legittimo) recesso (per giusta causa) effettuato dal prestatore d’opera senza però un adeguato preavviso.

Nello specifico, si trattava di una attività di consulenza informatica che un prestatore d’opera, quale lavoratore autonomo, aveva svolto, su incarico di una azienda informatica, a favore di una importante società di telecomunicazioni. Attività di consulenza dalla quale il prestatore d’opera aveva (legittimamente) receduto in seguito al rifiuto, da parte dell’azienda informatica, di sottoscrivere il contratto.

Ovviamente non essendo sottoscritto alcun contratto, tra consulente e azienda informatica, si era in assenza di una disciplina contrattuale che indicasse, nel caso di recesso, un preciso termine di preavviso.

Recesso, però, che il giudice di merito (Tribunale di Roma, prima, e Corte d’Appello di Roma in seguito) aveva ritenuto illegittimo – per violazione dell’art. 2237, terzo comma, codice civile – perché comunicato dal consulente con un preavviso di soli 3 giorni, e quindi con modalità tali da arrecare pregiudizio all’azienda informatica, sua cliente, “perché non le era stato concesso il tempo necessario per sostituirlo con altra persona” presso la società di telecomunicazioni. 

Infatti, l’azienda informatica, in conseguenza della condotta del recedente, aveva dovuto pagare alla società di telecomunicazioni una penale a causa dell’interruzione della prestazione.  Clausola penale, quella pattuita dall’azienda informatica con la società di telecomunicazioni, di cui, tra l’altro, il consulente era a conoscenza.

Conseguentemente, accogliendo la domanda dell’azienda informatica, il consulente veniva condannato a rimborsarle, a titolo di risarcimento danni, la somma che aveva dovuto pagare a titolo di penale.

La Suprema Corte, confermando la decisione del giudice di merito, ha ribadito che il recesso dal rapporto di lavoro, da parte del prestatore d’opera, deve avvenire in modo tale da “non arrecare pregiudizio al cliente”, come previsto dall’art. 2237, terzo comma, codice civile.

Detta norma, precisa la Cassazione, è “diretta ad evitare al cliente l’eccessivo danno che deriverebbe dall’improvvisa rottura del rapporto, ossia a lasciargli il tempo per provvedere diversamente agli interessi per i quali è stato stipulato il contratto e, in sostanza costituisce una particolare applicazione del principio di buona fede oggettiva ex artt. 1175 e 1375 codice civile” .

Pertanto, il recesso del prestatore d’opera, pur se sorretto da giusta causa, è da considerarsi illegittimose comunicato con modalità e tempistiche tali da comportare danni al cliente.

(Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 23 gennaio 2014 - 23 aprile 2014, n. 9220)

 

(23 febbraio 2016)

 

 

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