STUDIO LEGALE Avv.
STEFANO COMELLINI BOLOGNA |
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Sulla tutela giuridica del "nome" dell'Azienda |
In due
recenti sentenze la Corte di Cassazione è tornata sul tema del “nome” (anzi, per essere più precisi, della
"ditta" e della "denominazione sociale") dell’Impresa confermando i propri
orientamenti in materia. Con la sentenza 29 maggio 2015 n. 11224
[confermando la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto integrare l'illecito di concorrenza
sleale l'avere denominato
la propria azienda con l’acronimo (nome formato con le
sillabe estreme di due parole) di
una società concorrente], la Suprema Corte riafferma che “ai fini della tutela della ditta o
della denominazione sociale accordata dagli artt. 2564 e 2567 c.c., quando si deduca il
pericolo di confusione per l’uso fattone da altro imprenditore, così come ai
fini della tutela ex art. 2598 n. 1 c.c. quando tale uso integri altresì
concorrenza sleale, è
sufficiente che si verifichi una situazione potenzialmente pregiudizievole e
cioè la virtuale possibilità di confusione tra le ditte e le denominazioni
sociali di
due imprenditori, ovvero la astratta idoneità del comportamento tenuto dalla
ditta o società concorrente ad incidere negativamente sul profitto che
l’imprenditore si propone di ottenere attraverso l’esercizio dell’impresa” (vedi Cassazione, 10728/1994). Con la sentenza 2 novembre 2015, n. 22350,
invece, la Cassazione ribadisce che “l’inserimento nella ditta o
nell’insegna di una parola facente parte di un marchio brevettato da altro
imprenditore
(ma non
usato dallo stesso anche come ditta od insegna) é lecito, in considerazione della diversa
funzione dei rispettivi segni distintivi e della mancanza di una diversa
previsione normativa, sempre
che quella ditta od insegna vengano utilizzate solo quali strumenti di
individuazione dell’impresa o dello stabilimento, non anche per identificare
o pubblicizzare prodotti, e cioe’ sostanzialmente come
marchi, sì da determinare violazione dell’altrui privativa” (vedi Cassazione, 7958/1987). Infatti
“il concetto di ditta, volto a designare, genericamente ed
unitariamente, il nome sotto cui l’imprenditore esercita l’impresa, non ha – salvo che essa venga usata anche
come marchio –
una diretta
attinenza con i prodotti fabbricati o venduti o con i servizi prestati, e si
distingue, pertanto, sia dal marchio in generale, sia dal cosiddetto marchio
di servizio
(introdotto in Italia dalla Legge n. 1178 del 1959, articolo 3), destinato a
contraddistinguere una specifica attività o branca di attività tra quelle
esercitate dall’impresa (e dotato di un campo di produzione limitato a tale
attività in se’ considerata, mentre la ditta e’
sempre riferibile ad un complesso di attività), sia dall’insegna, che non identifica né il prodotto, né
l’attività o branca di attività, bensì un bene aziendale presso il quale o
mediante il quale un prodotto viene posto in commercio” (vedi Cassazione, 8034/2000). (27 maggio 2016) |
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