STUDIO LEGALE Avv.
STEFANO COMELLINI BOLOGNA |
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Parlar male del prodotto e dell'azienda altrui è Concorrenza Sleale? |
La Corte di
Cassazione con l'interessante sentenza n. 5848/13, si è pronunciata su una
vicenda di denigrazione commerciale subita da un'azienda.
Atti di denigrazione effettuati dal concorrente, operante nel medesimo
campo commerciale (produzione di macchine per l'enologia), sia della
produzione che dell'azienda nel suo complesso, presso gli operatori del
settore ed i clienti. La Suprema
Corte, confermando sue precedenti pronunce in materia, chiarisce che: 1) gli “atti di denigrazione” vanno inquadrati (come correttamente compiuto dal
giudice del merito) negli atti (atipici) di
concorrenza sleale,
ai sensi del n. 3 dell’art. 2598 codice civile, per
la loro contrarietà ai principi della correttezza professionale ed idoneità a
danneggiare l’altrui azienda. 2)
che, “provata
la lesione della reputazione professionale ovvero commerciale, poiché il danno risarcibile a norma
dell'art. 2043 cod. civ. è il danno - conseguenza patrimoniale, occorre
provare che detta lesione abbia cagionato una perdita patrimoniale, senza la quale il risarcimento manca
di oggetto. (Cass. 6507/01 e 20120/09)”. “A tal fine è necessario provare la gravità della
lesione e la non futilità del danno; da
provarsi anche mediante presunzioni semplici, fermo restando, tuttavia, l'onere del danneggiato di allegare
gli elementi di fatto dai quali possa desumersi l'esistenza e l'entità del
pregiudizio
(Cass. 2226/12)”. 3)
che “la
concorrenza sleale, consistente nel diffondere notizie ed apprezzamenti sui
prodotti altrui in modo idoneo a determinare il discredito, richiede un’effettiva divulgazione ad
un numero indeterminato, o quanto meno ad una pluralità di soggetti cioè ad
un pubblico indifferenziato,
e non
è
pertanto
configurabile
nell'ipotesi di esternazioni occasionalmente rivolte a singoli interlocutori
nell'ambito di separati e limitati colloqui (Cass.
5641/78, 2931/78, 2020/82 e 12681/07)”. (Corte di
Cassazione, sezione I civile, sentenza 13 febbraio 2013 - 8 marzo
2013, n. 5848) (6 maggio 2016) |
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