STUDIO LEGALE Avv.
STEFANO COMELLINI BOLOGNA |
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Contratti B2B: Termini di Pagamento tra imprese e Clausole Inique |
Riguardo i contratti conclusi tra imprese (“transazioni commerciali”), “che comportano, in via esclusiva o prevalente,
la consegna di merci o la prestazioni di servizi contro il pagamento di un
prezzo”, è sempre interessante rammentare
la disciplina contenuta nel Decreto
Legislativo 9 ottobre 2002 n. 231 (di Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta
contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali). Disciplina che
è stata in parte modificata ed integrata dai recenti D.Lgs.
192/2012 e 161/2014. L’art. 4 (“termini di pagamento”), del vigente D. Lgs 231/2002 così
recita ai punti 1, 2 e 3: 1)
Gli interessi moratori decorrono, senza che sia necessaria la
costituzione in mora, dal giorno successivo alla scadenza del termine per il
pagamento. 2)
Salvo quanto previsto dai commi 3, 4 e 5, il periodo di pagamento non può superare
i seguenti termini:
a) 30
giorni dalla data di ricevimento da parte del debitore della fattura o di una
richiesta di pagamento di
contenuto equivalente. Non hanno effetto sulla decorrenza del termine le
richieste di integrazione o modifica formali della fattura o di altra
richiesta equivalente di pagamento; b) 30 giorni dalla data di ricevimento
delle merci o dalla data di prestazione dei servizi, quando non è certa la data di
ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento;
c) 30
giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla prestazione dei servizi, quando la data in cui il debitore
riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento è anteriore a
quella del ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi;
d) 30
giorni dalla data dell'accettazione o della verifica eventualmente previste
dalla legge o dal contratto ai fini dell'accertamento della conformità della
merce o dei servizi
alle previsioni contrattuali, qualora il debitore riceva la fattura o la
richiesta equivalente di pagamento in epoca non successiva a tale data. 3)
Nelle transazioni commerciali tra imprese le parti possono pattuire un termine
per il pagamento superiore rispetto a quello previsto dal comma 2. Termini superiori a 60 giorni,
purché non siano gravemente iniqui per il creditore ai sensi dell'articolo
7, devono essere pattuiti espressamente. La clausola relativa al termine deve
essere provata per iscritto. L’art. 7 (“nullità”) del Decreto, a sua volta, così testualmente
recita ai punti 1, 2, 3, e 4: 1) Le clausole relative al
termine di pagamento,
al saggio degli interessi moratori o al risarcimento per i costi di recupero,
a qualunque titolo previste o introdotte nel contratto, sono nulle quando risultano gravemente
inique in danno del creditore. Si applicano gli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del
codice civile. 2)
Il
giudice dichiara, anche d'ufficio, la nullità della clausola avuto riguardo a tutte
le circostanze del caso, tra cui il grave scostamento dalla prassi
commerciale in contrasto con il principio di buona fede e correttezza, la
natura della merce o del servizio oggetto del contratto, l'esistenza di
motivi oggettivi per derogare al saggio degli interessi legali di mora, ai
termini di pagamento o all'importo forfettario dovuto a titolo di
risarcimento per i costi di recupero. 3)
Si considera gravemente
iniqua la clausola che esclude l'applicazione di interessi di mora. Non è ammessa prova contraria.
4)
Si presume che sia gravemente iniqua la clausola che esclude il
risarcimento per i costi di recupero di cui all'articolo 6. Per costi
di recupero si intendono i costi sostenuti per il recupero delle somme non
tempestivamente pagate. A sua
volta, l’art. 7 bis
(“prassi inique”), introdotto come rafforzamento delle
prescrizioni contenute nel precedente art. 7), prevede che: 1)
Le prassi relative al termine di pagamento, al saggio degli interessi
moratori o al risarcimento per i costi di recupero, quando risultano gravemente inique per il creditore, danno diritto al risarcimento del
danno.
2)
Il giudice accerta che una prassi è gravemente iniqua tenuto conto di quanto
previsto dall'articolo 7, comma 2. 3)
Si considera gravemente iniqua la prassi che esclude l'applicazione di
interessi di mora. Non è ammessa prova contraria. 4)
Si presume che sia gravemente iniqua la prassi che esclude il risarcimento
per i costi di recupero di cui all'articolo 6. La nullità,
si sottolinea, può essere rilevata e dichiarata dal giudice anche d’ufficio. A tale
proposito, la Corte di Cassazione precisa che lo “… scopo della nullità (è) volto anche alla protezione di un
interesse generale tipico della società di massa”. La Suprema
Corte aggiunge, poi, che “Il
potere del giudice di rilevare la nullità … è essenziale al perseguimento di interessi che
possono addirittura coincidere con valori costituzionalmente rilevanti, quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.) e l’uguaglianza quantomeno formale tra
contraenti forti e deboli (art. 3 Cost.: si pensi alla disciplina antitrust, … alle
disposizioni sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, che
stabiliscono la nullità di ogni accordo sulla data di pagamento che risulti
gravemente iniquo in danno del creditore, ex D.Lgs 231/2002), poiché lo squilibrio contrattuale
tra le parti altera non solo i presupposti dell’autonomia negoziale, ma anche
le dinamiche concorrenziali tra imprese”. (Corte di Cassazione, Sezioni Unite
Civili, sentenza 8 aprile 2014 - 12 dicembre 2014, n. 26243) (17 maggio 2016) |
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